La cerimonia di inaugurazione è finita, la delegazione nordcoreana è tornata a casa, che cosa è successo? Sul palco delle personalità erano seduti esponenti di paesi che si minacciano guerra da sempre, e la presenza più rara era quella di Kim Yo-Jong, sorella di Jong Un. Questa donna enigmatica ha mantenuto un atteggiamento cordiale, ha sorriso e salutato gli atleti, per poi incontrare il presidente del sud invitandolo a Pyongyang per un vertice con suo fratello. Questa è parsa una mossa molto astuta: instaurare un dialogo con Moon per strappare la Corea del sud dall’influsso belligerante americano. Nel corso degli incontri diplomatici c’è stato anche un concerto della Orchestra Samjiyon a Seoul, che mi sembra una idea squisita. Quanti capi di stato inviterebbero l’esponente di un paese con cui sono formalmente in guerra a sentire la musica? Diplomazia acustica.
Nel frattempo la nazionale pancoreana di Hockey femminile ha perso sonoramente la sua prima partita contro la Svizzera. Questo era prevedibile, visto che è una squadra messa insieme all’ultimo momento e le cui giocatrici non parlano nemmeno la stessa lingua sportiva (al sud si usano i termini mutuati dall’inglese, mentre al nord le parole tecniche sono tradotte in lingua autarchica). A quanto pare i coreani del sud hanno avuto reazioni contrastanti: alcuni manifestanti hanno protestato per la mollezza dimostrata dal presidente verso il regime violento, altri sono più sereni anche se nessuno è perfettamente ottimista. C’è una grossa divisione fra anziani (che vivono il nord come un paese fratello diviso semplicemente dalla politica) e giovani che del nord hanno conosciuto solo le assurdità antimoderne dell’ideologia juche.
In tutto questo Shinzo Abe sta letteralmente temendo la pace e la prospettiva di una Corea riunificata, e cerca in ogni modo di spingere Moon a seguire le idee aggressive degli Stati Uniti. Pare che Abe preferisca una guerra (nucleare) alla pacificazione.
La prospettiva
È chiaro che questi incontri in occasione di olimpiadi non sono dei trattati di pace, la Corea del nord non ha accennato all’abbandono del programma atomico, e forse questo ammorbidimento è solo un trucco per aggirare le sanzioni internazionali. Per come la vedo io, però, la strada intrapresa da Moon è in un certo modo rivoluzionaria: è vero che il regime di Kim è sanguinario, una tirannia che ha prodotto disastri nel paese e fuori, minacce verbali e fisiche agli stati confinanti e uno spreco di soldi in armamenti anche durante carestie mortifere. Realisticamente vedere una Corea unita non sarà facile da qui a breve, specie perché la dinastia Kim non ha nessuna intenzione di cedere il proprio potere da faraoni. Eppure tocca sperare in questa nuova strada perché l’alternativa è quella che conosciamo già: i bombardamenti, la guerra e la distruzione di un’area che potrebbe ingrandirsi a dismisura. Magari per stavolta si potrebbe provare con degli inviti a concerti, tanto per vedere cosa succede.