Negli ultimi giorni ho passato un po’ di tempo con i vecchietti. C’è stata la sagra del nostro quartiere e alla cena finale con i notabili del comitato abbiamo bevuto sake e chiacchierato. Mi hanno detto che nel nostro quartiere c’era un cinema ora scomparso e una linea di tranvai portava fino ad Akihabara: quanto sarebbe comodo averlo anche adesso. Mi affascina molto capire come era la vecchia Tokyo, forse proprio perché per trovarne le tracce bisogna mettercisi d’impegno, non come in Italia che quasi tutto rimane. Quella notte sono andato a dormire e ho sognato me stesso che usciva dal cinema del quartiere bello come un teatro d’altri tempi e prendeva il tram per arrivare fino ad Akihabara. Mi sono svegliato come uscendo dalla macchina del tempo, ho cercato su internet le foto del cinema e a quanto pare la mia immaginazione onirica ci si era avvicinata.
Ieri sono andato verso ovest e, passando per Nakano, ho pensato di andare a vedere un posto di cui un amico architetto mi aveva parlato: Heiwa no mori koen, il parco del bosco della pace. Il nome benaugurante contrasta con il fatto che qui si trovava una prigione usata dall’impero giapponese per recludervi i prigionieri politici dal 1915 fino a dopo la seconda guerra. Qui molti comunisti, socialisti e anarchici sono stati rinchiusi affinché non creassero opposizioni sgradevoli al regime e alla guerra. Il parco ha un prato abbastanza spoglio affiancato da edifici del ministero della giustizia, ma io cerco il portone di ingresso, l’unica cosa originale che del carcere è rimasta. Chiedo a un signore anziano (lo scelgo apposta sperando di attingere alla memoria storica) che ascolta la radio da un auricolare rumoroso quanto uno speaker, e mi dice che sì, davanti a noi dove si vede il prato c’era una prigione con muri alti, ma non sa dove sia il portone. Chiedo a un altro signore e lui mi indica l’arco, ma scopro che è tutto transennato, ha tutta l’aria di prepararsi a una demolizione: come mi aveva detto il mio amico architetto. Oggi forse pochissimi sanno di cosa si tratti, e c’è un piccolo comitato che si oppone al progetto di buttarlo giù per costruire una scuola. Potrebbe essere, dicono, un simbolo dell’opposizione al regime totalitario.
QUI una pagina con foto dell’epoca