Non faccio mai la fila per un ristorante, ma da un po’ di tempo avevo voglia di udon, la pasta giapponese un po’ cicciotta.
Mi sono diretto verso Shin, un posto famoso sui social, pensando ne valesse la pena.
Sono le 15, attendo in fila, fuori, tra i 10 e i 15 minuti e mi fanno sedere. Il menù è molto corposo, ci sono udon conditi in vari modi, in brodo, caldi e freddi, con varie guarnizioni di verdure fritte in pastella. Mi incuriosisce molto la carbonara con gli udon, fatta con un condimento di uovo e una fetta di pancetta fritta a mo’ di tenpura. Decido che come prima volta andrò sul classico e scelgo gli udon conditi con un po’ di brodo, fette di maiale arrosto e un uovo sodo tenpurato (cioè fritto in pastella).
In caso -penso- se ne vale la pena tornerò una seconda volta per la carbonara. Anticipo subito che questa seconda volta non ci sarà.
Arriva la ciotola in cui gli spaghettoni sono sistemati alla perfezione, la pasta è attorcigliata e i colori rendono tutto molto instammabile, ma la consistenza è terribile. Gli udon sono molli e appiccicosi, nemmeno scotti, proprio impastati male. Il condimento è normalissimo e la carne di guarnizione sembra un prodotto industriale, senza niente di particolare.
Finisco il tutto con un po’ di sconforto, affrontando la dura realtà e cioè che non sono ancora riuscito a trovare un ristorante di udon che raggiunga il livello di quelli mangiati a Kagawa, nell’isola dello Shikoku, dove in posti sperduti le fabbriche di udon li servono perfettamente al dente, tuffati in un brodo semplicissimo di carne e verdure deliziose. Ma si sente che tutto è fatto con ingredienti migliori e, fatemelo dire, con più amore.
Qui da Shin invece il servizio è piuttosto ruvido, si paga molto e -cosa che forse non mi è mai capitata da quando abito qui- quando pago il tipo alla cassa mi fa la fastidiosissima domanda “non ce li hai spicci?” quando allungo una banconota da 10 sacchi.
Me ne vado deluso, tentato di dire alla gente in fila fuori di lasciar perdere, che si mangia meglio altrove, che Tokyo non è da udon.
FINE RECENSIONE DEL RISTORANTE,
INIZIO RACCONTO DI QUELLO CHE MI E’ SUCCESSO DOPO
Sto attraversando la strada a un incrocio di Shinjuku, ancora pensando al viaggio bellissimo fatto alla ricerca degli udon perfetti di Kagawa quando noto un signore anziano che attraversa in direzione opposta, mi fissa negli occhi, si ferma e mi saluta, ricambio. Poi lui e la moglie si fermano, invertono la marcia, mi raggiungono e lui mi chiede in inglese:
– posso parlarti un momento?
– sssssì, va bene
– (parlando velocemente, a macchinetta sempre in inglese) faccio parte di una chiesa cristiana, ci raduniamo per invocare lo Spirito Santo, ti va di venire alle nostre funzioni che facciamo il fine settimana?
– Non saprei, forse no
– Adesso hai tempo?
– Veramente sto andando a comprare dei calzini (è vero)
– Sì ma facciamo presto, vorrei pregare con te, solo un minuto
– (pensando adesso voglio vedere che altro tira fuori questo, dai) Va bene
– Ecco, mettiamoci qui al bordo del marciapiede. Posso appoggiarti una mano sulla spalla?
– OK
– Adesso io pregherò affinché lo Spirito Santo discenda su di te, tu devi continuare a dire Hallelujah, senza fermarti, lascia uscire le parole dalla bocca, devono sgorgare fuori senza che tu ci faccia caso.
A questo punto il signore comincia a cantillare una serie di cose in inglese, prima appena comprensibili, poi l’articolazione si perde e comincia a emettere dei suoni tipo i santoni evangelisti pentecostali americani, quelli che parlano in lingue sconosciute anche a loro stessi, figuriamoci agli altri. La glossolalia, insomma.
Io un po’ lo ascolto, un po’ dico Halleluyah, ma il capo mi dice di non pronunciare troppo bene, devo sbrodolare anche io, è questo il modo corretto di invocare lo Spirito Santo. Io ci provo, esce una cosa tipo le preghiere di Gennaro D’Auria dei tempi d’oro di Radio Camaldoli Stereo. In questo frangente indossare la mascherina mi salva dal fare vedere che sto palesemente ridendo.
L’invocazione finisce, e proprio quando penso che la cosa non possa diventare più assurda di così questo evangelizzatore della linea Chuo mi dice
– Ma tu sei Flavio, quello che è in onda sulla televisione, vero?
– Sssssssì, ma… eh?
– Guardiamo sempre la trasmissione e mia moglie è una tua grande fan.
Mentre sono lì che non capisco niente (forse per effetto dello Spirito Santo di cui sopra), mi porge un biglietto da visita della chiesa su cui qualcuno (penso lui) ha scritto a penna rossa, in corsivo “Halleluiyah!”.
Incontri di questo tipo mi fanno sperare, se non altro, che il periodo di isolamento personale causa covid sia nella fase finale.
Qualche informazione sulla chiesa (qui) di questo signore.
Forse dopo il lungo periodo di distanza dal prossimo la natura sta guarendo ed è di nuovo possibile essere fermati per strada da sconosciuti.