Quest’anno ho passato qualche settimana in Italia. Il 2022 ha avuto tutta l’aria di essere l’anno in cui è finita la pandemia, e il nostro paese mi è apparso in una luce nuova, un po’ perché normalmente abito a Tokyo, e un po’ perché il COVID ha portato delle trasformazioni.
Qui di seguito ci sono annotazioni fatte durante il periodo estivo, istintive, occasionali e disordinate.
Varietà
La storia dell’Italia è divertentissima e trovo mega affascinante tutto quello che ha portato una tale diversificazione estrema di accenti, lingue, culture, cibi, tradizioni, fissazioni. L’immigrazione degli ultimi decenni, poi, ha aggiunto influssi nuovi a un mosaico già per sé variegatissimo. Stavolta sono passato dalla Sicilia, che per uno del nord-est significa fare un salto in un universo distantissimo, un cambiamento di paradigma che a volerlo fare partendo dal Giappone ci si deve imbarcare su un volo di molte ore previo controllo passaporti.
Anche in scala minore, però, basta allontanarsi di poche decine di chilometri per trovarsi in mondi piuttosto alieni: la mia regione è talmente sfaccettata (anche il nome, Friuli-Venezia Giulia presenta bene questa specie di collage) che anche solo spostandosi in bicicletta, partendo dal Friuli propriamente detto si arriva in zone in cui si parla sloveno, tedesco, veneto, triestino, bisiacco. Esperienza abbastanza straniante e difficile da veicolare è quella di andare in Carnia (la zona montana del Friuli) ed essere trattati come degli stranieri, degli italiani qualunque nonostante si parli in friulano.
La percezione della varietà comprende anche alcune cose che il mio inconscio dimentica quando sono lontano dall’Italia, probabilmente per proteggermi dalla nostalgia costante, e queste sono: la bellezza sfacciata di quasi tutte le città, il suono delle campane, specialmente a sera, la natura e/o i campi sempre a portata di mano, mare boschi magredi sentieri e le montagne, i ristoranti che servono prosciutti e salami fatti da loro.
Disorganizzazione
Lo so, è un cliché, ma purtroppo è vero che ti accorgi che sei in Italia dal fatto che le file sono disordinate, i turni non si sa cosa siano e come si rispettino.
Ma recentemente mi sono accorto di una cosa: il più delle volte non sono le persone in fila a creare confusione, ma l’organizzazione esterna dei turni, o meglio l’assenza della stessa. Quasi sempre chi dovrebbe dare indicazioni lascia che il pubblico si autoregoli, spesso finendo per diventare un gregge o la ben nota nave senza nocchiere in gran tempesta. Le strutture usate per i servizi da erogare al pubblico spesso sono pensate male, gestite peggio, in disperato bisogno di manutenzione, hanno entrate o uscite inadatte al volume di persone, le indicazioni non ci sono o sono contraddittorie. Paradossalmente la struttura architettonica e urbanistica medievale o rinascimentale delle città è pensata meglio delle costruzioni degli ultimi decenni. Mi è parso che in tutto questo chi si trova imbottigliato in situazioni spesso infernali sia anche bravo a non trascendere: il tutto si esaurisce in piccole aggressioni verbali o commenti stizziti invece che finire a botte.
Post-COVID
Forse è un’impressione affrettata e superficiale, ma in generale ho trovato l’atmosfera in Italia piuttosto nervosa. Mi pare che le tensioni e le limitazioni per la pandemia mescolate a un senso di paura per il futuro abbiano creato un accumulo di stress palese nelle persone. Mi è sembrato che la cortesia, questo cuscinetto necessario ad ammorbidire le interazioni col prossimo, abbia perso un po’ della sua morbidezza e che ci voglia poco per arrivare allo strato ruvido, quasi abrasivo della gente. Ho visto una tendenza a sentirsi minacciati nei propri interessi che sfocia in una autodifesa aggressiva verso il prossimo. Certamente la meteorologia con temperature disumane e la siccità -fenomeno completamente sconosciuto in Giappone che nel frattempo ha subito allagamenti- non hanno aiutato l’umore generale.
Cibo
E’ sempre una consolazione e varrebbe già da solo il viaggio.
Ma stavolta ho notato l’assenza di un genere che ormai mi pare fondamentale nella mia vita giapponese: il ristorante veloce. Cioè in Italia andare a mangiare fuori significa sedersi, ordinare, io solo un primo io solo un secondo prendiamo due antipasti da dividere ripasso dopo per i secondi intanto ci pensate? Avete ancora un posticino per il dolce? Il caffè lo prendiamo dopo al bar.
E via così. Ore.
Che va bene se hai tempo e voglia, ma se sei di fretta tocca ripiegare su un panino, in piedi al bancone. Insomma mi manca il ristorantino tokyese che a pranzo fa un menù fisso, standard, già pensato dal cuoco (di solito anche ottimo) che è già pronto da prima che io entri nel locale e costa pochi euro. Una cosa soddisfacente, economica e che risolve il pasto.
Furti
Mi hanno rubato la bici ed è parzialmente colpa mia ché non l’ho chiusa (era comunque nel giardino di casa). Il furto di bici però è praticamente inesistente a Tokyo, dove tutti i velocipedi sono marchiati dalla polizia ed è impossibile rivenderli. Da una parte non chiudo la mia bicicletta quasi mai, dall’altra ogni tanto la polizia mi ferma per controllare che il numerino impresso sul telaio corrisponda a me, proprietario. Questo senso di sicurezza mi ha giocato un brutto scherzo
Bell’articolo Flavio, probabilmente senti queste cose in modo particolare per via della tua lontananza. Comunque ti confermo che la pandemia ha portato ad un aumento notevole dell’aggressività e dello stress.
Un abbraccio
Renato