A Udine, in una zona a est, separata dal centro città, c’è una via che dà il nome all’intera zona: Riccardo (di) Giusto. La questione del “di” la spiego dopo, ma è un quartiere dove ho avuto l’onore di abitare, quando era considerato una delle zone difficili della città, qualcuno lo chiamava il Bronx di Udine, sono sicuro senza conoscere il pittoresco quartiere newyorchese e forse nemmeno altre città fuori dalla nostra regione. Di fatto era un quartiere abbastanza tranquillo, la nomea di postaccio veniva dalla presenza di case popolari, qualche famiglia difficile, qualche isolato atto di vandalismo, un po’ di teppismo più esibito che effettivo, redditi in media più bassi del centro città e dei paesi circostanti, e soprattutto la presenza di palazzoni che per il friulano medio significano già di per sé degrado.
E poi nel quartiere c’erano i singars, i sinti. Piazzati in accampamenti ai bordi dei quartieri appena sviluppati, si occupavano di raccolta del ferro, avevano le bestie che pascolavano nei prati e hanno generato un fenomeno che -per quanto ne sappia io- esiste solo in questa zona del mondo: lo slang dei gagè (i non rom) ha preso abbondantemente in prestito parole e espressioni del vocabolario rom. Questa era una caratteristica unica della parlata del quartiere di via Riccardo: una calata né udinese né friulana ma una mescola di queste due lingue con una spolverata di termini usati da giostrai, battiferro: insomma le parole degli zingari.
Se eri un riccardino (abitante del quartiere in questione) poteva capitare di suscitare rispetto, forse un po’ di paura, specie se dimostravi spavalderia quando arrivavano i baracconi (le giostre) in città e usavi le attrazioni tipo l’autoscontro, il tagadà o il punching ball per dimostrare la tua arroganza.
Ma perché Riccardo di Giusto? Chi era? Per tutto il periodo in cui ho abitato nel quartiere non mi ero mai posto il problema, pensavo fosse uno delle decine di personaggi a cui erano intitolate le strade di quel quartiere nato tra gli anni ‘70 e ‘80 in mezzo ai campi di pannocchie, principalmente partigiani friulani ricordati con nomi di battesimo e di battaglia sui cartelli delle vie. Invece no, Riccardo (di) Giusto, ho scoperto una volta cambiata casa e quartiere, è stato il primo morto italiano della prima guerra mondiale. Intitolare una via importante di un nuovo quartiere al primo caduto del 15-18 la dice lunga sul senso della morte nella mia regione, ma è anche una specie di celebrazione dell’uomo comune travolto dagli eventi orrifici della grande guerra. E Riccardo era esattamente una persona comune: nato nel 1895, facchino alla stazione di Udine poi chiamato a servire il regno nel corpo degli alpini, spedito a pochissimi chilometri dal luogo di nascita, è morto sui monti vicino a Drenchia il giorno 24 maggio del 1915 (proprio mentre il Piave mormorava sotto i primi fanti, il). Solo recentemente si è appurato che sull’atto di nascita il cognome era semplicemente Giusto, senza il “di” che fa molto patronimico.
Il film Niente di nuovo sul fronte occidentale (Im Westen nichts Neues, in streaming su Netflix) è la storia di un altro Riccardo Giusto (la versione opposta e tedesca), uno dei circa 2 milioni di militari tedeschi annullati dal conflitto. Nel corso di più di 2 ore e mezza vediamo tutta la sua carriera militare dall’arruolamento in avanti. Il film forse non segue una grande ricerca di narrazione, o dialoghi, o approfondimento sui personaggi, è più un tentativo di esperienza immersiva nella grandissima merda che è la guerra (la prima mondiale in modo speciale). Non ci sono appigli, il film è lungo e porta il più vicino possibile al PTSD in cui si immergono i protagonisti; i personaggi vengono e soprattutto vanno, maneggiati come sacrificabili flussi umani dai superiori che vivono in un altro universo.
Ci sono le trincee del fronte francese, un oceano di fango, armi e violenza, c’è il militarismo delle élite europee e i semi avvelenati che germoglieranno nella società tedesca durante il primo dopoguerra.
Un film impegnativo, forse non rivoluzionario nell’approccio al tema, ma ben realizzato, ben recitato e molto curato.