Suzume no tojimari
Allo spettacolo delle 13.50 la sala è quasi piena, e a distanza scaglionata di 70 minuti l’uno dall’altro ci sono altri 15 spettacoli nello stesso giorno, a rotazione nelle altre sale del cinema Toho di Shinjuku, quello dal cui tetto spunta la statua a grandezza naturale di Godzilla. Ed è solo uno dei multisala che ci sono in questa zona della città: il cinema in sala in Giappone è vivo e sta abbastanza bene.
L’ultimo film di Makoto Shinkai è bello, lo dico subito così mi tolgo il pensiero: se vi è piaciuto “Il tuo nome” guardatevi Suzume no Tojimari (non so come lo tradurranno in italiano) perché secondo me è ancora meglio.
Al suo interno troverete molte degli elementi ormai tradizionali del cinema di animazione giapponese e alcuni temi costanti nel cinema di Shinkai: ovviamente il rapporto con la natura è uno di questi. Seguendo la storia della protagonista, Suzume, il film omaggia ripetutamente i lavori del grande maestro Miyazaki e di tutto l’universo Ghibli. In alcuni punti le citazioni sono palesi al punto che i personaggi stessi citano Kiki – consegne a domicilio quando decidono di ascoltare sull’autoradio un brano della colonna sonora del film. Ma se l’universo Ghibli è una presenza fondamentale impossibile da ignorare, la descrizione della realtà che fa Shinkai ha un approccio completamente diverso: mentre Miyazaki evita i riferimenti al presente e in generale a epoche definite troppo precisamente, creando storie dal sapore assoluto e classico fin dall’uscita, qui siamo immersi nelle città contemporanee, con le impalcature che coprivano i palazzi fino a qualche mese fa, i lavori in corso e la gente che impugna gli smartphone sui quali riconosciamo anche le app installate (c’è un candido product placement). Personalmente mi fa molto godere la descrizione minuziosa della città in cui abito, e Suzume si trova a metà del film a vagare per un quartiere che è stato casa mia per alcuni bellissimi anni: Ochanomizu. Ma queste sono cose che esaltano così tanto solo me, credo.
La storia raccontata nell’anime si sviluppa nel tempo e contemporaneamente nello spazio: tutto il film è un road movie con tappe in posti significativi dell’arcipelago, è un percorso di maturazione di Suzume, ragazza liceale che dopo un evento magico dovrà affrontare problemi estremamente reali.
Tutto il percorso è in realtà l’analisi di un trauma, il suo riconoscimento e il superamento: forse l’anime più freudiano che abbia visto.
La cosa che mi è piaciuta di più è l’assenza di un finale stiracchiato in cui i numeri soprannaturali (che pure non mancano nel film) mettono un coperchio a tutte le questioni aperte in stile Deus ex Machina.
L’ospite ingombrante che incombe durante tutto il film è, in realtà, la Natura nella sua veste di portatrice di disastri e minaccia al benessere delle persone. Le domande a cui Suzume deve rispondere sono, tra le altre: “come si fa ad affrontare una ferita enorme di cui non è responsabile nessuno e tantomeno noi? Vale la pena aprire le porte dietro le quali sono nascoste verità dolorose che però rischiano di giacere abbandonate e dannose proprio come le rovine di un luna park che cade a pezzi o di una stazione termale diroccata?”
Nel film ci sono molti haikyo, le strutture abbandonate tipiche delle zone rurali del paese, quelle che fanno la felicità dei fotografi di genere.
Tuffandosi in una mitologia sismica giapponese rivisitata e modernizzata per l’occasione, l’eroina Suzume si muove con tutto il coraggio di una adolescente: in bilico tra l’essere una bambina e una donna fortissima e indipendente come tutte quelle che la circondano (è un film molto femminista e ottimista in questo senso).
Alla fine l’interrogativo che Shinkai sembra porre ai suoi connazionali è:
Dopo dieci anni dai disastri del Tohoku, dieci anni in cui la parola d’ordine che tutti hanno sventolato come uno stendardo è stata fukkō (ricostruzione), tutti hanno cercato la normalità costruendo, occupandosi delle cose, che cosa è successo al cuore delle persone, alle loro emozioni, alle loro ferite? Non è che per caso sono state abbandonate come un vecchio luna park arrugginito e con le porte che non si aprono più?
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