“Fino a quando ti trattieni? Quando riparti? Quando hai una sera libera che ci vediamo per salutarci?” Un po’ come per l’italicissima frase “riusciamo a salutarci prima di Natale per farci gli auguri?” sembra di essere in un paesino della provincia più estrema del nostro paese.
L’ultima sera prima che tornassi a casa la gente conosciuta ha spinto forte per indire una serie di bevute con la scusa di salutarci.
La serata si è svolta spostandosi in 3 o 4 locali diversi in sequenza, e forse la cosa che mi ha fatto più piacere è che della gente che non si era mai incontrata si è conosciuta in questo raduno un po’ improbabile.
La prima tappa è stato il locale dove lavora la ragazza conosciuta qualche sera prima, ho portato dei mandarini ricevuti a kilate sull’isola con cui abbiamo accompagnato le bevande. E’ strano vedere come la gente che abita in questa città non abbia un vero motivo per prendere il ferry e andare sull’isola del vulcano, mentre io ci sono stato ogni giorno (tranne uno) per una settimana e ho incontrato molti più isolani di quanti ne conosceranno mai loro.
Parliamo a lungo di pesca, tema che mi appassiona perché è una cosa che ho fatto per la prima volta un mese fa, ho l’entusiasmo del neofita e molta voglia di fare un’altra gita in barca. Parliamo di tipi di pesci, come consumarli appena pescati, come far scolare il sangue e poi ci muoviamo in un altro posto. Nel gruppo c’è il paramedico e i gestori rispettivamente del bar e dell’izakaya karaoke. Ci spostiamo nel quartiere notturno della città in cui risuona la colonna sonora di questa zona: karaoke cantato a squarciagola che arriva attutito oltre le porte chiuse dei locali. Ci spostiamo nel locale delLA giapponese alternativa stile NY che, appena ci vede, festeggia ingollando bicchierini di tequila, ci serve roba diversa da quella che avevamo chiesto e io non me ne accorgo nemmeno, percependo amaramente la consapevolezza di non aver ancora capito le differenze tra i diversi tipi di shōchū. La tipa comunque poi per farsi perdonare ci lancia un altro giro che siamo costretti a bere alla chetichella nonostante avessimo già deciso di cambiare locale.
L’ultimo posto è un baretto (che te lo dico a fare, con il karaoke) gestito da una ragazza che quando entriamo è alla prese con tre clienti, tre giovani uomini che lavorano qui ma vengono della città più rinomata per la vis comica dei suoi abitanti. I tre in questione sono incredibilmente maleducati, insolentiscono la barista, sono rumorosi e fastidiosi, invadenti e molto poco simpatici. Io pur non c’entrando niente comincio a infastidirmi e devo controllarmi per non cazziarli, chiedo ai miei amici, che sono di qui, se non gli girano un po’. Ricevo una lezione di pazienza: inutile litigare, tanto dopo un po’ se ne vanno, noi lasciamo fare. Sono impressionato: della gente che si comporta così in una città che non è la propria se fosse in Italia ma anche nel posto in cui abito normalmente passerebbe dei brutti momenti, non credo si rendano conto di quanto sono fortunati a trovarsi qui. Quando finalmente questi mona se ne vanno la barista viene a bere con noi e la vedo finalmente rilassata, ma il gruppetto di locali non si lascia andare a commenti liberatori come mi sarei aspettato.
In tutto questo si sono nuovamente fatte le 4 di mattina e, cantate le ultime canzoni, ci salutiamo fraternamente, io ho l’aereo la mattina e non sono nemmeno sicuro di sapere dove si prende l’autobus per l’aeroporto.
Riesco a svegliarmi, trovare la fermata giusta e, mentre bevo un caffè rovente, mi arriva un messaggio del paramedico: ha dormito in macchina per smaltire la ciocca e adesso sarebbe pronto a portarmi all’aeroporto. Gli rispondo commosso e un po’ nauseato dalla carenza di sonno che va bene, sono già sul bus.
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Grazie e buon anno!