Che la cucina indiana sia buona si sa, ma c’è una caratteristica particolare nel modo con cui si mangia in India di cui mi sono ricordato tornandoci: tutto quello che si mette in bocca è pensato in modo da essere estremamente indulgente.
I pasti sono pieni di farinacei, patate, ceci, lenticchie, tutta roba che riempie e dà quel senso di sazietà soddisfatta che fa scattare la circolazione di endorfine. I sapori sono mescolati perfettamente con le spezie, note fresche, piccanti, erbacee, forti, e tutto è un po’ più salato del necessario, di solito. Il modo di insaporire i cibi sembra pensato per chi soffre di dipendenza dalle spezie, e infatti per molti indiani che mangiano la cucina italiana una semplice pasta al pomodoro manca di sapore, ci devono almeno aggiungere una vangata di peperoncino. Poi ci sono i fritti: fanno la loro comparsa a colazione con i puri: una specie di gnocchi fritti con cui si comincia la giornata, accompagnandoli a intingoli vari speziatissimi. Le bancarelle che vendono la merenda per strada fanno principalmente fritture: golgappe (involucri fritti da riempire col brodo), kachori (polpette di verdure varie annegate nella minestra di ceci) e anche i semplici samosa, tortini di patate avvolti nella pasta e fritti, sono serviti in un piattino e schizzati con salsa agrodolce o chutney di menta e coriandolo, specie a Varanasi. I negozi che vendono snack (chat in hindi) offrono una serie infinita di combinazioni in cui però ci deve essere obbligatoriamente un intingolo-bomba speziato, una parte fritta e farinacei di qualche tipo. Cenare con il chat è un’esperienza quasi psichedelica, specie in mezzo alla gente che si sgomita per ordinare e mangiare il tutto sul bordo della strada trafficata.
La pianta del tè è una, la stessa in tutto il mondo, eppure paragonare come viene preparata la bevanda tra India e Giappone è come mettere vicino due sistemi solari diversi. Foglie non fermentate, verdi, infuse per un minuto nell’acqua a 80 gradi qui in Giappone, in India foglie pesantemente annerite e dal sapore pungente, bollite violentemente e a lungo in acqua e latte. Poi aggiunta di ingredienti che trascinano verso la dipendenza: zucchero in quantità, il grasso del latte non scremato, spezie come il cardamomo e a volte lo zenzero fresco o in polvere. Il tè (chai) in india è un’esperienza molto, troppo consolatoria.
A Benares c’è un bugigattolo che fa il tè, lo avevo eletto a luogo delle mie colazioni per la bella atmosfera densa di anziani che di prima mattina si riuniscono per parlare, gridando, di politica. Ovviamente il tè lì è buonissimo, ma la particolarità è che vendono anche palline di bhang, un impasto fatto con ganja e altro che non so bene cosa sia. Alcuni clienti ne prendono una pallina dopo aver bevuto il tè, ma molti ne prendono due o tre, che mi pare di capire sia una quantità spropositata, specie se uno dopo deve fare qualcosa di produttivo. Ma su queste cose l’India è estremamente indulgente.
Se la bocca è in una pausa tra una mangiucchiata e l’altra e ha voglia di stimoli, a ogni angolo delle città ci sono i venditori di pān, un mix di spezie e noci di areca avvolto in una foglie da mettere in bocca e lasciare agire tra guancia e arco dentale. Ovviamente la noce di areca dà dipendenza, così come il tabacco che qualcuno mastica, come nel far west.
Nei giorni passati a Benares mi sono trovato a lavorare pomeriggi interi a casa, dove la cuoca del mio ospite non era contenta quando non avevo bisogno di niente e a intervalli regolari veniva a chiedermi se poteva prepararmi qualcosa. Allora io indulgevo e le chiedevo di aprirmi una noce di cocco per berne l’acquetta, farmi un tè sempre carico, o prepararmi un lassi con il latticello bello denso che vendono in buste di plastica. Un dubbio che mi viene è: perché non esiste il lassi salato fuori dall’India? È la versione più gustosa. Spesso lei rilanciava proponendomi i namkeem, gli snack fritti e -manco a dirlo- speziatissimi.
Dopo un po’ questo stile di vita presenta dei rischi: troppi grassi, troppi fritti, troppi zuccheri (tornato a Tokyo ho dovuto disintossicarmi, tipo) e soprattutto l’attività fisica quasi non è prevista. Le città sono quasi sempre impraticabili per chi vuole camminare, correre o percorrerle in bicicletta, lo sport non è considerato una attività desiderabile e infatti è strano che un paese così gigantesco abbia vinto il primo oro olimpico della sua storia nel 2021 a Tokyo (io c’ero!).
L’esempio principe dell’indulgenza indiana (specie amministrata dalle donne verso i maschi, devo dire) è stato quando vivevo in una famiglia a Jaipur e dovevo andare a scuola la mattina, ma mi riaddormentai dopo la colazione e la “mamma” locale non mi svegliò perché se avevo sonno potevo dormire, che problema c’è?
Leggi la parte V